In fondo come si dice?! Italia-Grecia mea faza mea raza, stessa faccia stessa razza. E' il tipico ritornello che tra compatrioti portiamo avanti con popoli della nostra risma, quelli del mediterraneo diciamo.
Qui c'è il sole, il mare e, al posto del mandolino, c'è il bouzouki ma tant'è, ci siamo capiti.
Complice "In debito", il bellissimo documentario di Segre e Capossela, nonchè del libro di quest'ultimo "Tefteri", avevo un importante obiettivo da portare a termine: trovare una bella ταβερνα in cui bere tsipouro e ascoltare il blues tradizionale greco, il rebetiko. Questa musica potrebbe essere definita come uno tzatziki blues, un genere arrivato in Grecia con esuli dell'Asia minore in seguito al conflitto con la Turchia nei primi anni 20' del XX secolo e al successivo 'scambio di popolazione'.
Adesso vi racconterò del mio primo, attesissimo incontro con questo topos greco. La giornata stava volgendo al termine e dopo l'ufficio stavamo parlando tra di noi volontari quando ad un certo punto alle mie orecchie è arrivata la parola rebetiko. Alcuni colleghi stavano seguendo per un loro progetto un artigiano i strumenti musicali tradizionali e, tramite lui, vengono a sapere di una serata all'insegna di questo particolare tipo di musica che viene suonata utilizzando la chitarra, il bouzouki, il baglamas e il tamburello. Decido di unirmi alla spedizione.
Le vie intorno a piazza Aristotelus che di giorno brulicano di persone di notte si trasformano diventano solitarie e oscure. Da Egnatia, l'arteria principale di Salonicco che divide la parte del lungo mare e del porto da quella in salita verso l'Ano Poli, svoltiamo a destra in una strada occupata da un cantiere stradale e da una grande insegna che ricorda quella dei cinema di una volta. Siamo arrivati.
La taverna non è grande, due ambienti seprati da un muro a vista,all'interno non più di una decina di tavoli che ricordano quelli delle osterie nostrane: robuste sedie di legno e tovaglie bianche di carta. Quello che colpisce di più sono i colori ed i particolari del locale, la parete in fondo, dove è situato il palco con gli strumenti, è rossa e in alto spicca uno specchio. Alle pareti molte fotografie dei musicisti che si sono esibiti qua durante gli anni e grandi tavolate. Ci sediamo, siamo numerosi e quindi conquistiamo il tavolo da sei dall'altra parte del muretto, nella parte lontana dal palco. All'interno del locale altre due tavolate prettamente maschili che sembrano ad uno stadio già avanzato nella degustazione di cibo e alcol.
Mentre cerco di decifrare le parole incomprensibili nel menù alzo il naso verso le pareti circostanti, ci sono un bellissimo orologio con i numeri al contrario, una frase , un altro specchio , una chitarra ed altre fotografie. Veronica, l'unica autoctona della nostra tavolata, ci salva dall'imbarazzo della scelta. Vogliamo bere lo tsipuro, che per il sapore assomiglierebbe molto al celeberrimmo ouzo, ma è di fatto una grappa, decidiamo quindi di prendere delle mezedes,degli stuzzichini, una specie di tapas alla greca. I ragazzi installano tutta l'attrezzatura video ad un lato del tavolo in modo da superare l'ostacolo del muretto e puntare la telecamera sul palco. Nel frattempo arriva acqua e tsipuro. In Grecia funziona che da qualunque parte ti siedi, che sia un bar o un ristorante, ti portano una bottiglia d'acqua. Lo tispuro è servito in simpatiche mini bottiglie personali, una a testa, da versare nel bicchiere con del ghiaccio o dell'acqua, o entrambe. Io scelgo un bel tsipuro on the rocks. Parte il primo brindisi: ghiamas!.
Mentre gli strumenti sul palco giacciono ancora abbandonati in solitudine la nostra serata inizia ad animarsi,dagli altri tavoli come ondate si levano brindisi e risate e altri commenti a me incomprensibili ma dai visi rubicondi degli astanti deduco che si stiano divertendo parecchio, magari sono nella loro serata libera da mogli, madri o altri occhi guardinghi. Arrivano finalmente le mezedes: alici sott'olio, una specie di frittata con pomodori e feta, patate al forno con buccia, una specie di aringhe sempre sotto olio, formaggio, salse. Avevo fatto bene a stare leggera a cena, forse ero già consapevole del ripassino.
E' bello mangiare tutti insieme e condividere il pasto spizzicando da un piatto all'altro, conferisce all'atto del mangiare un sentimento di comunità, dello stare insieme, tutto è sul tavolo, tutto si deve dividere in modo che ognuno possa assaggiarne un pò. Mentre sforchettiamo, tagliuzziamo e splamiamo i musicisti guadagnano il palco e iniziano a suonare. Stasera la formazione è ridotta all'osso chitarra e bouzouki per suonare un rebetiko schietto come lo tsipuro per colpirti direttamente allo stomaco.
Le prime canzoni sono squisitamente strumentali e disegnano geometrie sonore che richiamano il vicino oriente, progressioni sbilenche che , ad un certo punto, si azzoppano su un semi-tono e su un andatura claudicante. Se la chitarra da corpo e ritmo, è il bouzouki a colorire le melodie con i suoi suoni particolarmente acuti emessi dalle otto corde accordate di due in due in re-la-fa-do. E' difficile da descrivere l'emozione di sentire per la prima volta dal vivo questo tipo di musica. Lo tsipuro, le mezedes, questo locale dai colori accesi, il rumore che sale dalle tavolate, il rembetiko, tutto come me lo ero immaginato.
Sulla strada sta passando una bella ragazza, è giovane ed ha un vestito attillato, in breve tutta la tavolata di fronte a noi si gira con un movmento a prova di torcicollo, partono applausi e risate e fischi, in un altro contesto avrei bollato tutto questo come un maschilismo retrò ma stasera ci sta, mi immagino di essere non più nel 2014 ma nel 1964, altre epoche, altre convenzioni. I musicisti iniziano a cantare.
Nel rebetiko è descritto come blues greco perchè, come nel blues, i suoi testi sono sempre struggenti e dolorosi, si parla di chi ha perso la propria libertà perchè è finito in prigione o perchè ha perduto il suo cuore in un amore impossibile. Tsipuro e rembetiko vanno decisamente d'accordo, bere per dimenticare, bere fino ad ubriacarsi perdutamente. Πινω και μεθω, bere e ubricarsi fino a perdere coscienza, questa è la canzone intonata dai musicisti. Si leva un'ovazione generale fatta di battimani e cori, evidentemente questo è un classico del repertorio.
Dallo specchio in fondo alla parete si erge il coppino del suonatore di bouzouki e l'aureola da domenicano della sua nuca. Quello specchio, quella parte, mi suona un pò troppo familiare. E' una scena che ho già visto da qualche parte, sicuramente sul documentario. Possibile? Possibile averlo beccato già al primo tentativo? Per fugare ogni dubbio lo chiedo al proprietario del locale che sta ritirando i piatti delle mezedes, "per caso conosce un musicista italiano? si chiama Capossela?". "Si Vinicio Capossela, è venuto qua qualche tempo fa a suonare". Non ci posso credere, al primo tentativo ho beccato uno dei mitici locali del documentario. Questo aumenta di molto la soddisfazione per la serata. Intanto lo tsipuro è finito, mi guardo intorno e penso alla bellezza di questa serata, al clima di convivialità che si respira, alla musica popolare, per una volta autentica, cantata con sincerità non lo stornello picaresco di qualche osteria trasteverina per turisti americani. Penso che da noi tutto questo si è perso, penso alle osterie cantate da Guccini, che oggi sono scomparse, roba da libri di storia.
I musicisti finiscono di suonare e il proprietario porta ache sul nostro tavolo, a mò di offerta, una specie di pane quadrato tagliato a cubetti molto piccoli. Un piatto solo con sei forchette. Come i moschettieri festeggiamo la serata unendo le nostre forchette e agguantando un quadratino di questo pane molle e dolce che sa di miele e cannella, d'oriente.
Adesso vi racconterò del mio primo, attesissimo incontro con questo topos greco. La giornata stava volgendo al termine e dopo l'ufficio stavamo parlando tra di noi volontari quando ad un certo punto alle mie orecchie è arrivata la parola rebetiko. Alcuni colleghi stavano seguendo per un loro progetto un artigiano i strumenti musicali tradizionali e, tramite lui, vengono a sapere di una serata all'insegna di questo particolare tipo di musica che viene suonata utilizzando la chitarra, il bouzouki, il baglamas e il tamburello. Decido di unirmi alla spedizione.
Le vie intorno a piazza Aristotelus che di giorno brulicano di persone di notte si trasformano diventano solitarie e oscure. Da Egnatia, l'arteria principale di Salonicco che divide la parte del lungo mare e del porto da quella in salita verso l'Ano Poli, svoltiamo a destra in una strada occupata da un cantiere stradale e da una grande insegna che ricorda quella dei cinema di una volta. Siamo arrivati.
La taverna non è grande, due ambienti seprati da un muro a vista,all'interno non più di una decina di tavoli che ricordano quelli delle osterie nostrane: robuste sedie di legno e tovaglie bianche di carta. Quello che colpisce di più sono i colori ed i particolari del locale, la parete in fondo, dove è situato il palco con gli strumenti, è rossa e in alto spicca uno specchio. Alle pareti molte fotografie dei musicisti che si sono esibiti qua durante gli anni e grandi tavolate. Ci sediamo, siamo numerosi e quindi conquistiamo il tavolo da sei dall'altra parte del muretto, nella parte lontana dal palco. All'interno del locale altre due tavolate prettamente maschili che sembrano ad uno stadio già avanzato nella degustazione di cibo e alcol.
Mentre cerco di decifrare le parole incomprensibili nel menù alzo il naso verso le pareti circostanti, ci sono un bellissimo orologio con i numeri al contrario, una frase , un altro specchio , una chitarra ed altre fotografie. Veronica, l'unica autoctona della nostra tavolata, ci salva dall'imbarazzo della scelta. Vogliamo bere lo tsipuro, che per il sapore assomiglierebbe molto al celeberrimmo ouzo, ma è di fatto una grappa, decidiamo quindi di prendere delle mezedes,degli stuzzichini, una specie di tapas alla greca. I ragazzi installano tutta l'attrezzatura video ad un lato del tavolo in modo da superare l'ostacolo del muretto e puntare la telecamera sul palco. Nel frattempo arriva acqua e tsipuro. In Grecia funziona che da qualunque parte ti siedi, che sia un bar o un ristorante, ti portano una bottiglia d'acqua. Lo tispuro è servito in simpatiche mini bottiglie personali, una a testa, da versare nel bicchiere con del ghiaccio o dell'acqua, o entrambe. Io scelgo un bel tsipuro on the rocks. Parte il primo brindisi: ghiamas!.
Mentre gli strumenti sul palco giacciono ancora abbandonati in solitudine la nostra serata inizia ad animarsi,dagli altri tavoli come ondate si levano brindisi e risate e altri commenti a me incomprensibili ma dai visi rubicondi degli astanti deduco che si stiano divertendo parecchio, magari sono nella loro serata libera da mogli, madri o altri occhi guardinghi. Arrivano finalmente le mezedes: alici sott'olio, una specie di frittata con pomodori e feta, patate al forno con buccia, una specie di aringhe sempre sotto olio, formaggio, salse. Avevo fatto bene a stare leggera a cena, forse ero già consapevole del ripassino.
E' bello mangiare tutti insieme e condividere il pasto spizzicando da un piatto all'altro, conferisce all'atto del mangiare un sentimento di comunità, dello stare insieme, tutto è sul tavolo, tutto si deve dividere in modo che ognuno possa assaggiarne un pò. Mentre sforchettiamo, tagliuzziamo e splamiamo i musicisti guadagnano il palco e iniziano a suonare. Stasera la formazione è ridotta all'osso chitarra e bouzouki per suonare un rebetiko schietto come lo tsipuro per colpirti direttamente allo stomaco.
Le prime canzoni sono squisitamente strumentali e disegnano geometrie sonore che richiamano il vicino oriente, progressioni sbilenche che , ad un certo punto, si azzoppano su un semi-tono e su un andatura claudicante. Se la chitarra da corpo e ritmo, è il bouzouki a colorire le melodie con i suoi suoni particolarmente acuti emessi dalle otto corde accordate di due in due in re-la-fa-do. E' difficile da descrivere l'emozione di sentire per la prima volta dal vivo questo tipo di musica. Lo tsipuro, le mezedes, questo locale dai colori accesi, il rumore che sale dalle tavolate, il rembetiko, tutto come me lo ero immaginato.
Sulla strada sta passando una bella ragazza, è giovane ed ha un vestito attillato, in breve tutta la tavolata di fronte a noi si gira con un movmento a prova di torcicollo, partono applausi e risate e fischi, in un altro contesto avrei bollato tutto questo come un maschilismo retrò ma stasera ci sta, mi immagino di essere non più nel 2014 ma nel 1964, altre epoche, altre convenzioni. I musicisti iniziano a cantare.
Nel rebetiko è descritto come blues greco perchè, come nel blues, i suoi testi sono sempre struggenti e dolorosi, si parla di chi ha perso la propria libertà perchè è finito in prigione o perchè ha perduto il suo cuore in un amore impossibile. Tsipuro e rembetiko vanno decisamente d'accordo, bere per dimenticare, bere fino ad ubriacarsi perdutamente. Πινω και μεθω, bere e ubricarsi fino a perdere coscienza, questa è la canzone intonata dai musicisti. Si leva un'ovazione generale fatta di battimani e cori, evidentemente questo è un classico del repertorio.
Dallo specchio in fondo alla parete si erge il coppino del suonatore di bouzouki e l'aureola da domenicano della sua nuca. Quello specchio, quella parte, mi suona un pò troppo familiare. E' una scena che ho già visto da qualche parte, sicuramente sul documentario. Possibile? Possibile averlo beccato già al primo tentativo? Per fugare ogni dubbio lo chiedo al proprietario del locale che sta ritirando i piatti delle mezedes, "per caso conosce un musicista italiano? si chiama Capossela?". "Si Vinicio Capossela, è venuto qua qualche tempo fa a suonare". Non ci posso credere, al primo tentativo ho beccato uno dei mitici locali del documentario. Questo aumenta di molto la soddisfazione per la serata. Intanto lo tsipuro è finito, mi guardo intorno e penso alla bellezza di questa serata, al clima di convivialità che si respira, alla musica popolare, per una volta autentica, cantata con sincerità non lo stornello picaresco di qualche osteria trasteverina per turisti americani. Penso che da noi tutto questo si è perso, penso alle osterie cantate da Guccini, che oggi sono scomparse, roba da libri di storia.
I musicisti finiscono di suonare e il proprietario porta ache sul nostro tavolo, a mò di offerta, una specie di pane quadrato tagliato a cubetti molto piccoli. Un piatto solo con sei forchette. Come i moschettieri festeggiamo la serata unendo le nostre forchette e agguantando un quadratino di questo pane molle e dolce che sa di miele e cannella, d'oriente.
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