lunedì 15 dicembre 2014

The Athens Connection


Quando sono andata in gita a Berlino la professoressa di storia dell'arte ci aveva avvertito: "vedrete una città completamente diversa dalle grandi città 'storiche' a cui siamo abiutati qui in Italia". Aveva ragione, complice la distruzione del periodo bellico, la post-modernità è diventata il simbolo della capitale tedesca piuttosto che la conservazione del suo passato. Come italiani siamo abiutati al bello (dicono) e quindi ecco Roma, prima sempieterna nei resti dell'impero romano, poi grantica e solenne nella sua rinascita cinquecentesca e poi ombrosa e ridondante nel suo delirio barocco. 
Ecco Atene non è niente di tutto questo, certo c'è il suo glorioso passato che sovrasta la città ma ci sono anche i piccoli suburbia del centro, quartieri  dimenticati con case abbandonate e graffiti, in cui trovano rigufio gli ultimi deli ultimi nel caos della megalopoli che è.
Atene è un puzzle di pezzi diverissimi tra loro che in qualche modo riescono a convivere. 

Vista notturna della città e dell'Acropoli dalla collina dell'Aeropago
La prima connessione è proprio tra il suo ed il mio passato. Per chi, come me, viene da studi classici visitare l'area dell'Acropoli e dell'agorà è un' emozione unica, così grande da giustificare cinque anni di curvatura cifotica della propria schiena sui libri. Conquistare l'entrata della collina sacra dedicata alla dea Atena e ammirare i maestosi resti di quello che nell'antichità doveva essere una delle meraviglie del mondo da una vibrazione indescrivibile.Come avevo immaginato ciò che è oggi visibile sull'Acropoli è 'solo' ciò che le varie dominazioni della città non hanno distrutto o smantellato. Le Cariatidi come il frontone, i fregie e le metope del Partenone oggi parlano inglese e  quasi tutte le strutture restante sono un misto tra pezzi originali e ricostruiti. Insomma la vera emozione proviene più dall'immaginazione che dalla  osservazione. L'Acropoli offre però anche una prospettiva globale sulla città, su questa grande coperta bianca che si estendo per kilometri e kilomentri dal porto del Pireo (incredibilmente vicino alla città) e le alture delle colline circostanti in cui sassolini bianchi di case si dipanano, anche loro incredibili resti di un'urbanizzazione forzata e claustrofobica. 
Casa abbandonata a Plaka
Sotto la collina sacra si trova il questiere di Plaka, un piccolo labirinto di case basse e collegate da viottoli di scale su differenti livelli. Qui è la seconda connessione con il quartiere di Ano Poli di Salonicco. Leggendo le pagine della mia guida scopro che questo quartiere ritrae come doveva apparire la città all'epoca dell'indipendenza della Grecia, circa 1820. La struttura delle case, fra cui diverse in stato di abbandono effetivo o apparente, ricorda l'atmosfera di un villaggio con i suoi alberi di limoni e il suo silenzio. In questa parte si trova anche una delle zone più turistiche con ristorantini tradizionali, con tavoli apparecchiati all'ombra della vite e musicisti zingari di strada.
Il repertorio della zona dei souvenir è sempre lo stesso: maglie e cappellini con i colori nazionali, olive sotto vuoto,bottiglie mignon di ouzo, borse e sandali dai nomi mitologici in finta pelle. Da Plaka la via dei mercati condice dritto fino a piazza Monastiraki in cui transita una varipinta umanità dai turisti agli spacciatori, in un angolo della piazza si può ascoltare per sentire il ritmo delle percussioni suonate da un gruppo di africani. Qui si trovano venditori di frutta e verdura con bilance manuali a peso, frutta secca, l'immancabile gyros e il περιπτερο (una via di mezzo tra un'edicola e il pakistano nostrano). Dall'uscita della fermata della metro il traffico delle persone è incessante, questo è l'ombelico del mondo e da qui ci si immerge nell'Atene di oggi. La terza connessione è proprio quella tra le sue varie parti. 
 Se di giorno non è un problema camminare anche da soli nei vicoli del centro di notte la solfa cambia decisamente e in alcune parti dicono sia meglio stare alla larga. Una di queste è la zona di Omonia, non distante da Monastiraki la piazza di Omonia è illuminata dalle decorazioni natalizie ma le sue vie laterali sono deserte ed oscure. Dicono che in questa zona la concentrazione di prostituzione e spaccio sia particolarmente elevata. Io non vedo niente di tutto ciò ma in alcune parti della città la sensazione di un degrado umano e fisico si fa particolarmente forte.


 Dei quartieri che ho visitato Psiri è sicuramente uno dei più particolari. Situato tra Monastiraki ed Omonia, il quartiere è conosciuto per le sue taverne frequentate sia da turisti che da autoctoni. Tuttavia è anche il quartiere dell'altromercato, dei 'robi vecchi' che vivono in case abbandonate e allestiscono mercatini delle pulci improvvisati. Tra gli edifici fatiscenti o mai completati e gli innumerevoli parcheggi, in questa zona è possibile ammirare alcuni esempi di street art: 



Infine l'ultima connessione è quella tra Atene e l'Europa. La presenza dei profughi siriani in piazza Syntagma, la piazza più importante di tutta Grecia è molto forte, rappresenta inequivocabilmente quella Fortress Europe che ci siamo abiutati a vedere anche a casa nostra con le innumerevole tragedie dei barconi affondati e delle centinaia di vite umane che, sprezzanti del pericolo cercano un futuro migliore. 
Mi chiedo quale possa essere il destino di questi profughi in un paese alla ricerca disperata di un equilibrio che la crisi sembra compromettere sempre di più e in cui il clima di tensione è ogni giorno sui livelli di guardia. Con le loro coperte, i cartoni contro il suolo gelido gli striscioni, questi profughi sembrano lasciati a se stessi, una doppia carreggiata a sei corsie li separa dall'edificio ocra e bianco del Parlamento.
Insomma questa è stata la mia 'prima volta' ad Atene, una città che senza dubbio avevo sognato ed immaginato per molto tempo, una città che mi ha emozionato e sorpreso e che dobrevve meritare una seconda visita approfondita.


Alla fine questo è stato solamente un assaggio.














martedì 18 novembre 2014

"ψωμι, παιδεια, ελευθερια" , 41 anni dopo...

Cosa ci faccio qui? Sono all'Università Aristotelus di Salonicco, al Politecnico, è sera e c'è un sacco di gente. E' il 17 Novembre, il giorno della commemorazione della rivolta al Politecnico di Atene del 1973 da cui partì, come un effetto domino, la caduta del regime dei colonnelli.
Mi fa un uno strano effetto partecipare alla mia prima manifestazione "seria" qui in Grecia, a 26 anni suonati. Il mio curriculum vitae barricadero non è certo dei più battaglieri: a 15 anni partecipo alla manifestazione contro la guerra in Iraq, colorata e felice, qualche anno più tardi frequento qualche assemblea dell' "Onda" ma mi guardo bene da piazze o manifestazioni, all'epoca avevo un pò di agorafobia, infine le uniche manifestazioni recenti sono stati due gay pride bolognesi ( e, per fortuna, non siamo mica in Russia). Insomma, le manifestazioni ad alto rischio, quelle con la polizia in antisommossa che ti vigila ad ogni angolo, non le ho mai viste, tranne che al telegiornale.
Decido di partire leggera:  niente borsa, solo carta d'identità e chiavi di casa nella tasca sinistra e cellulare in quella destra. Al collo la macchina fotografia. Scarpe da ginnastica, cappotto nero (con un limone incellophanato nella tasca sinistra) e sciarpa rossa. Non vado da sola, con me ci sono gli amici dell'EVS e due ragazze greche. Dopo esserci ritrovati nel punto prefissato andiamo a piedi all'Università, sta imbrunendo e ci sono molti uccelli, corvi, che volano sopra le nostre teste in grandi stormi. Egnatia , una delle strade principali della città, è solo per noi, pronta ad accogliere il corteo.
Il cortile dell'Università è già affollato, molti studenti sia medi che universitari, ma anche molti "veterani", di 50 anni e più. L'ingresso è protetto dal servizio d'ordine, riconoscibile dai caschi e dalle "bandiere" (più bastone che vessillo) che tengono tra le mani. Dietro di loro sta parlando la delegazione del partito comunista, sono un gruppo di anziani, non capisco se siano della resistenza (perchè troppo giovani) o se siano testimoni dell'evento di 41 anni fa.
Finita la commemorazione all'Università, iniziata dalla mattina con la deposizione di corone di garofani rossi pari al numero di morti di quel giorno, inizia il rassemblamento del corte. Come avevo visto nei giorni precenti ci sono una moltitudine di gruppi politici: dagli anarchici ai comunisti del KKE, passanto per le varie formazioni politiche universitarie. Moltissime bandiere rosse. Contrariamente alle manifestazioni italiane qui non ci sono casse mobili a sparare musica ribelle per tutto il corteo. Ci siamo solo le persone con le loro voci e le loro mani, ed ovviamente anche qualche bastone a percuotere i bidoni della spazzatura (come si vedrà più tardi). Il nostro motto è: stare con i "vecchi", ossia con le formazioni più tranquille ed evitare gli incappucciati che potrebbero provocare incidenti ed esporci ad eventuali cariche. Passano diversi minuti e ci iniziamo a muovere, molto lentamente. La gente inizia a scandire gli slogan, ce ne sono diversi ma non riesco a capirli.

Quando arriviamo all'incrocio di Egnatia per girare verso Timiski cominciamo a prendere ritmo e velocità, i cori diventano più forti e la polizia in antisommossa ben visibile. Ci fermiano, non so perchè, alcuni dicono che un gruppo di anarchici ha iniziato ad imbrattare alcune vetrine. Io un pò perchè sono bassa e un pò perchè sono nel mezzo del corteo non vedo niente, alzo quindi la macchina fotografica per fare qualche panoramica a caso e mi accorgo che siamo veramente in tanti. Nel frattempo riprendiamo il corteo e arriviamo a Timiski, il nostro obiettivo è l'ambasciata americana. Proprio gli americani sono i protagonisti di uno degli slogan che sento, il significato è abbastanza chiaro: "sappiamo che siete stati voi" ad aver permesso ai militari di sopprimere la democrazia e i suoi diritti. Un pò un Cile versione europea insomma.
Il corteo è abbastanza tranquillo, intorno a me ci sono un sacco di ragazzi, non hanno birre o canne tra le mani, qui la politica è una cosa terribilmente seria che non vale la pena fare finire in caciara. La lentezza del corteo mi viene spiegata in questo modo, non è solo una commemorazione, un ricordo. Pane, giustizia e libertà. Ora come allora, la protesta è indirizzata contro un disegno di legge che vuole riformare il mondo dell'istruzione universitaria. Qua l'università funziona un pò complessa, è gratuita (nel senso che paghi per i libri e per il tuo sostentamento ma non c'è una tassa di accesso) e per entrare all'università devi sottoporti ad un test nazionale che deciderà in base al punteggio in quale ateneo potrai studiare (il top è Atene, Salonicco è al secondo posto).
Non siamo più nel biennio di fuoco 2010-2012, quando sembrava che la Grecia fosse sul punto di prendere fuoco per via dell'altissimo livello di tensione sociale raggiunto, ma non mi sento tranquilla. Sarà perchè la polizia in antisommossa e con le maschere antigas sulla faccia, non ci molla un secondo. Alcuni incappucciti iniziano a provocare, si parano davanti al reparto ed iniziano a gridare slogan, "li stanno provocando".
Continuiamo verso l'ambasciata ma ad un certo punto ci fermiamo, sentiamo dei tonfi e non capisco bene cosa sta succedendo. Ad un certo punto sentiamo altri botti e del fumo alzarsi dalla coda del corteo. C'è un pò di panico e le persone fanno qualche passo in avanti. Lo sapevo, mi dico, adesso caricano. Mi agito, mi sento un pò persa, non so gestire un'eventuale situazione del genere e non conosco la città. Mi ricordo del limone nella tasca e lo tiro fuori, a mò di amuleto. Il corteo sembra spezzarsi in due, davanti il servizio d'ordine serra le file a proteggere la parte interna del corteo,  dietro di me sembra che qualcuno torni indietro. "Fermatevi fermatevi" gridano a pochi passi da me alcuni ragazzi a quelli del servizio d'ordine che vorrebbero ripartire. Poi la situazione si calma, ci ricompattiamo e procediamo finalmente verso  l'ambasciata. Niente di che, è chiusa, ovviamente, la saracinesca è abbassata e piena di scritte del tipo "assassini" etc etc. , ripartiamo dopo poco. Passiamo piazza Aristotelus e prima di girare in Venizelou per tornare su Egnatia, gli incappucciati imbrattano qualche che l'indomani dovrà pulire qualche commessa malpagata e rompono una vetrina, sollevando la protesta dei manifestanti che gridano: "stronzi", "fermatevi".
Adesso siamo in Egnatia e stiamo procedendo svelti per ritornare verso l'Università. La stanchezza si fa sentire, anche la fame. Penso che sta andando bene, mi aspettavo di peggio. Ma la sensazione di andare a manifestare con la paura addosso non mi piace. Poco prima di kamara alcuni ragazzi spaccano la vetrina di un negozio, che dovrebbe appartenere ad un esponente di Nea Demokratia, e sfasciano una biglietteria e la vetrina di una banca. Ecco, penso, mò caricano. Invece no, la polizia è lontana, adesso, in qualche strada parallela .  Devo tornare a casa a piedi e sento di aver le pile scariche. saluto gli altri e mentre mi incammino  vedo i reparti di polizia muoversi verso Egnatia. Spero che la situazione non degeneri.
 Mentre annaspo tra i ciottoli della città vecchia frugo nelle tasche, c'è ancora il limone (per fortuna intonso) e qualche volantino, comincio a canticchiare: "ψωμι, παιδεια, ελευθερια, η χουντα δεν τελειωσε στο εβδομηντα τρια" (pane, educazione, libertà, la giunta non è finita nel '73). Come dire: a buon intenditor...

p.s. una volta arrivata a casa vengo mi informano che qualche scontro c'è stato, nella coda del corteo gli agenti hanno "tonfato" un rappresentante sindacale e trovo conferma del fatto che il fumo non proveniva da  fumogeni dei manifestanti ma proprio dalla polizia.

domenica 26 ottobre 2014

Dimitrio, quel santo vestito d'amianto

In questi ultimi giorni di Ottobre, vuoi il clima proto-invernale piombato tra capo e collo, vuoi  perchè tra il 25 e il 28 del mese nelle strade si susseguono alcuni tra gli eventi più importanti dell'anno, la città è in fermeto. Tre gli appuntamenti più importanti: la celebrazione del Santo Patrono della città, Agios Dimitrious, la parata degli studenti e l'ottantaseiesimo anniversario dalla liberazione nazi-fascista.  
In teoria non avrei dovuto prender parte a nessuna di esse, in quanto dovevo andare a Sofia, ma causa mlatempo ho deciso di rimanere in città. Di solito in Italia, per quello che ho visto e conosciuto, la processione e la celebrazione del Santo Patrono vengono fatte nello stesso giorno, qua a Salonicco no, la processione viene fatta il giorno prima. Mancata, alla grande. 
Decido quindi di andare a vedere i Vespri nella chiesa omonima del Santo perchè in casa dopo un pò viene noia ma sopratutto perchè voglio finalmente scoprire le differenze tra i riti ortodossi e quelli cattolici. 
La basilica di Agios Dimitriou è molto interessante per la sua storia, si narra che in epoca bizantina fosse la seconda basilica più grande dell'impero e tra le sue mura si sono alternate a più riprese nei secoli la fede cristiana e quella musulmana. A guardarla sia dall'interno sia dall'esterno la basilica assomiglia ad un patchwork di stili diversi, dai capitelli bicolore rilfesso di un improbabile gotico italiano, alla presenza della cripta, dalla divisione trittica in navate con tanto di gineceo al secondo piano, alle cupole rotondeggianti sintomo del passaggio musulmano. 
All'esterno ragazzi rom cercano di venderti le candele, ne tengono una manciata tra le mani, molto sottile e di colore scuro; poco più in alto un altro venditore di candele, professionista, ne vende una moltitudine di svariate dimensioni. L'aria è fresca, frizzante. Seguo il flusso dei pellegrini venuti a dimostrare la propria devozione attraverso la pratica del bacio dell'icona. 
Avevo già visitato la chiesa, di giorno, in versione feriale, con pochi fedeli e alcuni turisti, oggi è un'altra storia. La prima cosa che mi colpisce è la luminosità: due bei lampadari illuminano la navata centrale e, in fondo, la cupola dorata a mosaico amplifica l'effetto donando un che di maestoso a tutto l'ambiente. La seconda cosa che mi colpisce è il caos, per la gente che va e viene in maniera disordinata tra le navate per baciare le varie icone e reliquie presenti nella chiesa. Ad un tratto mi sembrano tutti partecipanti di un gioco a punti: chi bacia più icone ottiene un premio, chessò, una reliquia ossuta. Tuttavia ecco alla mia destra l'unica coda ordinata,  si snoda lungo la navata laterale: decine di persone in attesa per l'oggetto più importante, l'urna con i resti del santo ritrovati tra il 1978 e il 1980 e da allora custoditi nella chiesa.
Mi guardo intorno, anziani, famiglie con bambini, giovani, tutti che si muovono, che cercano la propria reliquia da baciare e la chiesa ne offre veramente tante. Io invece sto ferma, aspetto che accada qualcosa e i 'pope', i preti ortodossi barbuti e vestiti di nero cominciano a passarmi accanto sempre più frequentemente. Alle 18.30 le campane iniziano a suore a dal presbiterio esce un pope con una lunga barba bianca, il tradizionale cappello nero ed un mantello di colore rosso, sale verso lo scranno di legno sulla destra e in poco tempo inizia a cantare. E' un momento particolare, la voce dei sacerdoti è imponente, bassa, traccia una melodia che mi ricorda il tono stentorio e salmodiante di Giovanni Lindo Ferretti in alcune canzoni dei CCCP. Il misticismo è da queste parti e si può toccare con mano, in questo momento il rito sembra avere più somiglianze con i canoni orientali che con quelli cattolici: tutti i preti che ho sentito cantare in Italia intonavano degli ave maria talmente svogliati da far passare la voglia anche alle perpetue. 
Nel frattempo continua il gioco delle luci, dal presbiterio due preti più giovani vanno avanti ed indietro con grandi candele, le stesse che la gente può comprare nel grande bancone di legno alle mie spalle.

Quasi nessuno canta con il pope, lui va avanti nella sua declamazione che immagino più rosario che messa. Poi, come due gemellini, si fanno gli altri due sacerdoti che, posate le candele, tengono tra le mani un turibolo  e cominciano la benedizione. Mano a mano, partendo dal pope, scendono lungo tutta la navata. Voglio fare una foto ma mi accorgo di essere troppo in mezzo,  a forza di σιγνωμη σιγνωμη guadagno un degnissimo posto in seconda fila.
Sulla destra la coda non accenna a diminuire, tra i fedeli arrivano molti ragazzi giovani con l'alta uniforme della marina, nulla di strano tra due giorni della parata. All'uscita decido di rivolgermi ad uno di essi per capire un pò di più l'evoluzione della serata: "che succede adesso?" - gli chiedo- "fanno una messa, continuano a pregare?". Lui forse non capisce il senso della domanda, si avvicina un suo collega che mi dice che è la festa del santo, mi chiede di dove sono.
Sul momento non avevo collegato ma poi ho capito perchè queste parate sono così connesse, calendario a parte ovviamente, anche Demetrio di Tessalonica, il santo, era un soldato, un martire. In tutte le icone in cui compare indossa un'armatura e si erge in piedi in posizione triofante, senza barba, al contrario degli imponenti pope vestiti di nero che continuano a sfrecciarmi di fianco.
Ho deciso che è arrivato il momento di andare. Nella borsa custodisco gelosamente un dolce con noci e pan di spagna caramellato comprato nella pasticceria di fianco alla chiesa.  Mentre mi allontano vedo sul bordo della scalinata  un uomo che vende palloncini, poco più in là, dietro al venditore di icone, un uomo vende del the caldo. Ci starebbe proprio bene con il dolce comprato prima in una pasticceria vicina. A passi svelti mentre la voce del pope risuona dagli altoparlanti, l'ennesimo rimando ad un oriente sempre più vicino.

mercoledì 15 ottobre 2014

Mezedes, Tsipouro e Capossela

In fondo come si dice?! Italia-Grecia mea faza mea raza, stessa faccia stessa razza. E' il tipico ritornello che tra compatrioti portiamo avanti con popoli della nostra risma, quelli del mediterraneo diciamo.
Qui c'è il sole, il mare e, al posto del mandolino, c'è il bouzouki ma tant'è, ci siamo capiti. 
Complice "In debito", il bellissimo documentario di Segre e Capossela, nonchè del libro di quest'ultimo "Tefteri", avevo un importante obiettivo da portare a termine: trovare una bella ταβερνα in cui bere tsipouro e ascoltare il blues tradizionale greco, il rebetiko. Questa musica potrebbe essere definita come uno tzatziki blues, un genere arrivato in Grecia con esuli dell'Asia minore in seguito al conflitto con la Turchia nei primi anni 20' del XX secolo e al successivo 'scambio di popolazione'.
Adesso vi racconterò del mio primo, attesissimo incontro con questo topos greco. La giornata stava volgendo al termine e dopo l'ufficio stavamo parlando tra di noi volontari quando ad un certo punto alle mie orecchie è arrivata la parola rebetiko. Alcuni colleghi stavano seguendo per un loro progetto un artigiano i strumenti musicali tradizionali e, tramite lui, vengono a sapere di una serata all'insegna di questo particolare tipo di musica che viene suonata utilizzando la chitarra, il bouzouki, il baglamas e il tamburello.  Decido di unirmi alla spedizione.
Le vie intorno a piazza Aristotelus che di giorno brulicano di persone di notte si trasformano diventano solitarie e oscure. Da Egnatia, l'arteria principale di Salonicco che divide la parte del lungo mare e del porto da quella in salita verso l'Ano Poli,  svoltiamo a destra in una strada occupata da un cantiere stradale e da una grande insegna che ricorda quella dei cinema di una volta. Siamo arrivati.
La taverna non è grande, due ambienti seprati da un muro a vista,all'interno non più di una decina di tavoli che ricordano quelli delle osterie nostrane: robuste sedie di legno e tovaglie bianche di carta. Quello che colpisce di più sono i colori ed i particolari del locale, la parete in fondo, dove è situato il palco con gli strumenti, è rossa e in alto spicca uno specchio. Alle pareti molte fotografie dei musicisti che si sono esibiti qua durante gli anni e grandi tavolate. Ci sediamo, siamo numerosi e quindi conquistiamo il tavolo da sei dall'altra parte del muretto, nella parte lontana dal palco. All'interno del locale altre due tavolate prettamente maschili che sembrano ad uno stadio già avanzato nella degustazione di cibo e alcol.
Mentre cerco di decifrare le parole incomprensibili nel menù alzo il naso verso le pareti circostanti, ci sono un bellissimo orologio con i numeri al contrario, una frase , un altro specchio , una chitarra ed altre fotografie. Veronica, l'unica autoctona della nostra tavolata, ci salva dall'imbarazzo della scelta. Vogliamo bere lo tsipuro, che per il sapore assomiglierebbe molto al celeberrimmo ouzo, ma è di fatto una grappa, decidiamo quindi di prendere delle mezedes,degli stuzzichini, una specie di tapas alla greca. I ragazzi installano tutta l'attrezzatura video ad un lato del tavolo in modo da superare l'ostacolo del muretto e puntare la telecamera sul palco. Nel frattempo arriva acqua e tsipuro. In Grecia funziona che da qualunque parte ti siedi, che sia un bar o un ristorante, ti portano una bottiglia d'acqua. Lo tispuro è servito in simpatiche mini bottiglie personali, una a testa, da versare nel bicchiere con del ghiaccio o dell'acqua, o entrambe. Io scelgo un bel tsipuro on the rocks. Parte il primo brindisi: ghiamas!.
Mentre gli strumenti sul palco giacciono ancora abbandonati in solitudine la nostra serata inizia ad animarsi,dagli altri tavoli come ondate si levano brindisi e risate e altri commenti a me incomprensibili ma dai visi rubicondi degli astanti deduco che si stiano divertendo parecchio, magari sono nella loro serata libera da mogli, madri o altri occhi guardinghi. Arrivano finalmente le mezedes: alici sott'olio, una specie di frittata con pomodori e feta, patate al forno con buccia, una specie di aringhe sempre sotto olio, formaggio, salse. Avevo fatto bene a stare leggera a cena, forse ero già consapevole del ripassino.
E' bello mangiare tutti insieme e condividere il pasto spizzicando da un piatto all'altro, conferisce all'atto del mangiare un sentimento di comunità, dello stare insieme, tutto è sul tavolo, tutto si deve dividere in modo che ognuno possa assaggiarne un pò. Mentre sforchettiamo, tagliuzziamo e splamiamo i musicisti guadagnano il palco e iniziano a suonare. Stasera la formazione è ridotta all'osso chitarra e bouzouki per suonare un rebetiko schietto come lo tsipuro per colpirti direttamente allo stomaco.
Le prime canzoni sono squisitamente strumentali e disegnano geometrie sonore che richiamano il vicino oriente, progressioni sbilenche che , ad un certo punto, si azzoppano su un semi-tono e su un andatura claudicante. Se la chitarra da corpo e ritmo, è il bouzouki a colorire le melodie con i suoi suoni particolarmente acuti emessi dalle otto corde accordate di due in due in re-la-fa-do. E' difficile da descrivere l'emozione di sentire per la prima volta dal vivo questo tipo di musica. Lo tsipuro, le mezedes, questo locale dai colori accesi, il rumore che sale dalle tavolate, il rembetiko, tutto come me lo ero immaginato.
Sulla strada sta passando una bella ragazza, è giovane ed ha un vestito attillato, in breve tutta la tavolata di fronte a noi si gira con un movmento a prova di torcicollo, partono applausi e risate e fischi, in un altro contesto avrei bollato tutto questo come un maschilismo retrò ma stasera ci sta, mi immagino di essere non più nel 2014 ma nel 1964, altre epoche, altre convenzioni. I musicisti iniziano a cantare.
Nel rebetiko è descritto come blues greco perchè, come nel blues, i suoi testi sono sempre struggenti e dolorosi, si parla di chi ha perso la propria libertà perchè è finito in prigione o perchè ha perduto il suo cuore in un amore impossibile. Tsipuro e rembetiko vanno decisamente d'accordo, bere per dimenticare, bere fino ad ubriacarsi perdutamente. Πινω και μεθω, bere e ubricarsi fino a perdere coscienza, questa è la canzone intonata dai musicisti. Si leva un'ovazione generale fatta di battimani e cori, evidentemente questo è un classico del repertorio.
Dallo specchio in fondo alla parete si erge il coppino del suonatore di bouzouki e l'aureola da domenicano della sua nuca. Quello specchio, quella parte, mi suona un pò troppo familiare. E' una scena che ho già visto da qualche parte, sicuramente sul documentario. Possibile? Possibile averlo beccato già al primo tentativo? Per fugare ogni dubbio lo chiedo al proprietario del locale che sta ritirando i piatti delle mezedes, "per caso conosce un musicista italiano? si chiama Capossela?". "Si Vinicio Capossela, è venuto qua qualche tempo fa a suonare". Non ci posso credere, al primo tentativo ho beccato uno dei mitici locali del documentario. Questo aumenta di molto la soddisfazione per la serata. Intanto lo tsipuro è finito, mi guardo intorno e penso alla bellezza di questa serata, al clima di convivialità che si respira, alla musica popolare, per una volta autentica, cantata con sincerità non lo stornello picaresco di qualche osteria trasteverina per turisti americani. Penso che da noi tutto questo si è perso, penso alle osterie cantate da Guccini, che oggi sono scomparse, roba da libri di storia.
I musicisti finiscono di suonare e il proprietario porta ache sul nostro tavolo, a mò di offerta, una specie di pane quadrato tagliato a cubetti molto piccoli. Un piatto solo con sei forchette. Come i moschettieri festeggiamo la serata unendo le nostre forchette e agguantando un quadratino di questo pane molle e dolce che sa di miele e cannella, d'oriente.




domenica 5 ottobre 2014

η αρχή, che l'avventura cominci

Eccomi dunque arrivata da meno di una settimana in terra greca nella città dai molti nomi: Thessaloniki, Salonicco per gli italiofoni (un rimando alla grandeur veneziana dell'epoca moderna che in queste terre spadroneggiava). 
Perchè un blog? Se state leggendo questo post significa che ho superato alcune reticenze mentali che mi rendevano diffidente da questo strumento intendendolo più come un diario pubblico che come mezzo di informazione. Invece, un pò per imitazione di alcuni colleghi in loco un pò perchè ritengo che possa rappresentare un utile esercizio di scrittura, ho deciso di aprirne uno per raccontare questa esperienza di Servizio Volontario Europeo (SVE o EVS per gli amici internazionali).
A presto dunque, o come dicono da queste parti: σύντομα.
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